Omicidio Vannini, le motivazioni della sentenza di Cassazione

19 Luglio 2021   16:13  

"La condotta di Antonio Ciontoli fu, non solo assolutamente anti doverosa, ma caratterizzata da pervicacia e spietatezza, anche nel nascondere quanto realmente accaduto, sicché appare del tutto irragionevole prospettare, come fa la difesa, che egli avesse in cuor suo sperato che Marco Vannini non sarebbe morto".

Così scrivono i giudici della Cassazione in un passo delle motivazioni della sentenza che il 3 maggio scorso ha confermato la condanna a 14 anni di reclusione per Antonio Ciontoli in relazione all'omicidio di Marco Vannini avvenuto a Ladispoli la notte tra il 17 e il 18 maggio 2015.  Con il verdetto della Suprema corte sono stati condannati anche i figli di Ciontoli, Federico e Martina, e la moglie, Maria Pezzillo.  Omicidio con dolo eventuale è il reato per cui Ciontoli padre è stato riconosciuto colpevole.

Al resto della famiglia è stato dato il concorso anomalo. Gli ermellini scrivono: "Ciontoli era ben consapevole di aver colpito Marco Vannini con un'arma da fuoco e della distanza minima dalla quale il colpo era stato esploso; era inoltre consapevole che il proiettile era rimasto all'interno del corpo del Vannini, come gli aveva fatto notare anche il figlio Federico dopo il ritrovamento del bossolo, e, sebbene la ferita avesse smesso di sanguinare dopo essere stata tamponata, egli ha necessariamente immaginato, rappresentandosi e, nonostante ciò accettando il verificarsi dell'evento che quel proiettile potesse essere causa di una emorragia interna".

"Tutti si preoccuparono subito della presenza del proiettile ancora nel corpo di Vannini, tutti ebbero immediata cognizione di tale circostanza e tuttavia nessuno si attivò per allertare tempestivamente i soccorsi, fornendo le informazioni necessarie a garantire cure adeguate al ragazzo ospitato nella loro abitazione e che, sino a quella sera, avevano trattato come uno di famiglia", si legge in un altro passaggio delle sessantadue pagine di motivazioni.

"Eppure Vannini si era lamentato per il dolore, aveva invocato aiuto e lo aveva fatto in modo talmente forte che le sue urla erano state distintamente avvertite dai vicini di casa e registrate nelle conversazioni telefoniche con gli operatori del 118", sottolineano i giudici della Suprema Corte.  Come "militare appartenente alla Marina militare e successivamente distaccato ai Servizi segreti, detentore di armi da fuoco e autore delo sparo, ha gestito in maniera autoritaria l'incidente e ha da subito minimizzato l'accaduto, tentando di rassicurare i familiari con spiegazioni poco credibili" si legge ancora.

Nella ricostruzione dei fatti, secondo la Suprema corte, Antonio Ciontoli "ha interrotto bruscamente la prima telefonata al 118 effettuata dal figlio Federico e dalla moglie affermando 'non serve niente'; giunto al Pit di Ladispoli, ha preteso di conferire con il medico di turno, spiegando che l'incidente doveva essere mantenuto il possibile riservato, in ragione del suo impiego alla Presidenza del Consiglio".

 Insomma "lo stato di soggezione nel quale versavano i familiari si desume da molteplici circostanze: tutti gli imputati, dopo aver compreso l'accaduto, omisero di attivarsi per aiutare effettivamente Marco".  


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