La Comandante della Sea Watch ha deciso di entrare a Lampedusa

26 Giugno 2019   14:30  

"Ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So cosa rischio ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo". Ad annunciarlo sui social è Carola Rackete, Comandante della Sea Watch 3 che ha deciso di sbarcare i migranti a bordo senza alcuna autorizzazione da parte delle autorità italiane e il divieto del Ministero. "In 14 gg nessuna soluzione politica e giuridica è stata possibile, l’Europa ci ha abbandonati. La nostra Comandante non ha scelta", il commento della Ong..

L'intenzione del Comandante di sbarcare a Lampedusa era stata chiara fin da questa mattina, con la pubblicazione di un post-appello sui profili social della Ong. "Sono responsabile per le 42 persone salvate in mare e che non ce la fanno più. Le loro vite sono più importanti di qualsiasi gioco politico" scriveva infatti il capitano Rackete, seguita dal commento della Ong che ha contestualmente lanciato una raccolta fondi: "Se il nostro capitano Carola segue la legge del mare, che le chiede di portare le persone salvate sul #seawatch3 in un porto sicuro, potrebbe affrontare pesanti condanne in Italia. Aiuta a difendere i diritti umani, condividi questo post e fai una donazione per la sua difesa legale".
 
Ieri la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha rigettato il ricorso presentato dalla Sea Watch per ottenere l'autorizzazione allo sbarco in Italia. "Questa mattina - si legge in un nuovo tweet di Sea Watch - abbiamo comunicato ai naufraghi la decisione della Corte di rigettare il ricorso. Sono disperati. Si sentono abbandonati. Ci hanno detto che la vivono come una negazione, da parte dell’Europa, dei loro diritti umani".

Intervistata da Adnkronos, la portavoce della Ong Mediterranea Alessandra Sciurba commenta così la decisione di Strasburgo: "Quella della corte europea dei diritti dell'uomo è una sentenza alla Ponzio Pilato: non è uno schiaffo alle Ong come vorrebbe il governo, però non è coraggiosa. Pone un problema di giurisdizione, ma dice all'Italia di dare assistenza alle persone che sono a bordo della nave. Il governo usa il Mediterraneo come strumento di consenso per costruire la sua cattiveria. La Sea Watch ha rispettato tutte le convenzioni internazionali, ha fatto ciò che il diritto impone. La sentenza non è entrata nel merito di quello che ha fatto perché non è di sua competenza".

 "Il diritto internazionale sancisce il soccorso in mare a chi è in difficoltà. Il salvataggio finisce quando tutte le persone soccorse sbarcano in un porto sicuro. L'Ue crei un sistema condiviso di porti in cui si può sbarcare. Non è possibile che le persone rimangano per tanto tempo in mezzo al mare", dice all'Adnkronos Isabella Trombetta, la portavoce della Ong Sos Mediterranee. "Quel che farà la Sea Watch lo deciderà la Sea Watch, noi abbiamo sempre rispettato il diritto internazionale", aggiunge.

"La decisione della Cedu non esonera i governi dalla responsabilità di trovare soluzioni adeguate. L’impasse politica tra i paesi europei e la loro incapacità di mettere la vita delle persone al primo posto, è ancora più scioccante oggi mentre i combattimenti continuano a imperversare a Tripoli. Nessuna persona soccorsa in mare dovrebbe passare dei giorni in attesa dello sbarco sulla terraferma. Ancor meno se si tratta di uomini, donne e bambini appena scappati da centri di detenzione in un paese in guerra dove, secondo il diritto internazionale, non dovrebbero mai essere riportati", commenta all'Adnkronos l'ong Medici Senza Frontiere. "La realtà e l’ultimo caso di SeaWatch3- continua Medici Senza Frontiere- ci dimostra però come purtroppo stiamo assistendo sempre più spesso alla negazione dello sbarco in un porto sicuro - momento in cui è bene ricordare si conclude l’operazione di salvataggio- per chi fuggito da estorsioni, violenze e torture in Libia, avrebbe invece il diritto di godere di quella protezione prevista dal diritto internazionale. Questo braccio di ferro sulla pelle delle persone mette gravemente a rischio il sistema di ricerca e soccorso, che risponde all’obbligo del diritto internazionale e marittimo di salvare vite in mare".

"Salvare vite in mare non è un crimine, bensì un obbligo legale che gli Stati dovrebbero avere come priorità. Tuttavia il messaggio che viene dal governo italiano e da quelli europei va in un’altra direzione: l’assistenza umanitaria non è la benvenuta ed è perfino ostacolata. Come nel caso del Decreto sicurezza bis con il quale il governo italiano continua a colpire chi vuole salvare vite in mare, mettendo ancora più a rischio la vita di persone vulnerabili in cerca di sicurezza. Multare il comandante di una nave di ricerca e soccorso è come sanzionare il personale di un’autoambulanza che porta i pazienti in ospedale", conclude Medici Senza Frontiere.


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